Bustine di magnesio

Categoria: Cultura, Libri, Sport

Ho letto di recente New York, una città di corsa di Chiara Marchelli che, tra un itinerario e l’altro, cita molti esempi di scrittori amanti della corsa (uno su tutti, Haruki Murakami). È un paragone che mi piace. Credo che nella corsa (nella scrittura) si raggiunga quell’ipnosi dello sforzo – fisico o creativo – che ti porta a dare il massimo, a raggiungere uno stato di coscienza quasi alterata dove tutto, alla fine, pare ricondurre a una regolarità di fondo: un tempo stabile sul chilometro, un romanzo dove tutto ciò che hai aperto si chiude. Eppure, anche se il movimento alla base pare lo stesso, ci sono tipi differenti di corse, così come esistono metodi diversi di scrittura. Nelle ultime settimane, per esempio, ho partecipato a due gare molto differenti tra loro: in entrambe ho ricevuto un pettorale con un numero a quattro cifre, ho dovuto correre una distanza superiore alla ventina di chilometri e farlo nel minor tempo possibile, concedendomi qualche sporadica pausa negli appositi punti di ristoro. Eppure, come dicevo… Due universi paralleli.

La prima era una mezza maratona cittadina in cui corri lungo un tragitto pianeggiante in asfalto con un solo avversario: te stesso. Orologio al polso, entri in una dimensione in cui conosci il ritmo dettato dal tuo corpo, perché è ciò che lui ti ha raccontato durante gli allenamenti. Lo hai abituato a correre, hai scoperto ciò che sa fare e lo porti all’estremo perché sai che è quello il punto da raggiungere e da mantenere per più tempo possibile. All’inizio ti godi la gente, le strade, uno scorcio di città mai visto da quella prospettiva. Il problema è che finisci per imprecare contro l’acido lattico e la fatica non appena sgarri di pochi secondi rispetto ai tuoi tempi. Il tracciato può così trasformarsi in un corridoio lungo il quale scompaiono gli altri corridori e gli spettatori – ci sono solo la strada e i segnali che indicano i chilometri mancanti alla fine. Torni a goderti il momento una volta raggiunto il traguardo: il respiro rallenta, il cuore rientra nella cassa toracica, si fanno i paragoni sui ritmi di gara. Fino alla prossima edizione.

La seconda gara era invece un trail, vale a dire una corsa nella natura che ti porta a calcare più superfici, e con dislivelli di diverse centinaia di metri; proprio per questo motivo, è impossibile stimare un tempo fisso sul chilometro. Il risultato, per chi affronta questa gara per la prima volta, è un grande senso di libertà. Il territorio circostante diventa parte fondante della gara, gli uomini e le donne che corrono al tuo fianco non sono birilli da schivare ma persone con le quali scambiare qualche chiacchiera durante le salite più ripide. Nel corso di questa gara ho visto gruppi raggiungere vette e scattarsi una foto insieme, sentito voci cantare per darsi forza, incrociato concorrenti che si fermavano per regalare bustine di magnesio a chi, a terra per i crampi, proprio sembrava non farcela.

Due gare, due corse molto differenti tra loro. Un po’ come possono essere diversi gli approcci alla scrittura. Ci sono momenti in cui apri il computer e vuoi spingere al massimo, chiudendo un progetto il più presto possibile; altri in cui vedi la scrittura come un mezzo per arrivare a conoscere altre persone, altri paesaggi, e condividere con loro parte del percorso. Si va nella stessa direzione, ma forse non c’è poi così tanta fretta. Non ho ancora ben capito se sono due diversi stadi della vita di uno scrittore o di una scrittrice, oppure se si tratta invece di due fasi che si alternano durante la stesura di un progetto lungo a sufficienza (lavorare con la porta chiusa e la porta aperta, come scriveva Stephen King). Ma ci sono differenze.

E forse l’esperienza è quella cosa che ti aiuta a capire quando è giusto avere il primo approccio e quando invece conviene adottare il secondo. Chilometro dopo chilometro, parola dopo parola.

Fino al traguardo.