Accadeva nel 1831. Nel canale di Sicilia, a 30 chilometri dalla costa di Sciacca e a una cinquantina dall’isola di Pantelleria, è spuntata un’isola. Così, tutto d’un tratto. Frutto di un’eruzione sottomarina di un vulcano. Tre governi si sono messi in moto per rivendicarne la proprietà, anche se dopo qualche mese l’isola si è inabissata e addio a tutte le questioni legate alla bandiera. Si chiamava Ferdinandea.
Non trovo un’immagine migliore per descrivere ciò che è stato per me il Cenacolo del Monte Verità. Un po’ perché l’isola è da sempre un potente simbolo dell’utopia, che da cinque anni rappresenta il fulcro della manifestazione e di questa montagna affacciata su Ascona. Un po’ perché, proprio come Ferdinandea, siamo emersi e ci siamo inabissati in poco tempo. Puf. E non c’eravamo più.
Rimane però il ricordo. Il ricordo di questo gruppo di giovani autori che per quattro giorni si è riunito, ha discusso e ha seguito gli incontri organizzati dagli Eventi Letterari. Abbiamo avuto una guida, Alessandro Leogrande, abile ed esperta; un mentore, Sebastiano Marvin, presente e attento. Più i libri, le conversazioni, i sorrisi (e gli aperitivi).
Questo ci ricorda anche che, in qualità di narratori, noi siamo innanzitutto creatori di isole e per un breve lasso di tempo abbiamo collaborato per crearne una insieme. La bandiera che svettava dalla cima del Monte Verità era infatti la nostra, i laghi che ne lambivano le coste erano una nostra responsabilità: abbiamo imparato a conoscerne le correnti e a individuare le secche, noi dieci. E non importa se siamo stati qualcosa di effimero come Ferdinandea, perché eravamo lì. Siamo stati. Anche se solo per quattro giorni.