Sette note, molti significati

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Uno degli aspetti più interessanti di quando sei in giro a promuovere un libro (il romanzo Le cose belle che vorrai ricordare, in questo caso) è che ti trovi confrontato a domande inaspettate da parte del pubblico e da chi modera gli incontri. Inaspettate ma non imprevedibili, certo, visto che al centro c’è sempre la scrittura. Comunque, capaci di farti riflettere su particolarità che fino a quel momento erano passate sottotraccia, in silenzio.

Nel caso della presentazione del romanzo a Tempo di Libri, la fiera organizzata a Milano, Alessandra Casella mi ha portato a riflettere sull’importanza assunta dalla musica nelle mie storie: da Ti sogno, California con una lista di canzoni a tema citate più volte tra le pagine al racconto Traccia numero quattro, inserito nell’antologia del Premio Chiara. E poi, ovviamente, la protagonista di Le cose belle che vorrai ricordare: Zoe, che suona il pianoforte – lo stesso strumento che ho imparato a suonare all’età di sette anni.

Questa presenza così importante è dovuta al fatto che, a differenza del cinema, i libri non possono avere colonne sonore (fatta eccezione per qualche e-book). Un gran peccato, perché sono molti i significati che può trasmettere un brano scelto con cura. Note alle quali si accompagnano stati d’animo, sensazioni e ricordi – perché non c’è nulla come una canzone o un profumo (anche questa una lacuna che dobbiamo sempre cercare di colmare con narrazioni multisensoriali) per rievocare un momento del passato.

L’esempio più significativo che mi balza alla mente (e alle orecchie) è Save Tonight di Eagle-Eye Cherry (ascoltala su Youtube). Una canzone che per molti non significa nulla se non il successo estemporaneo di un artista divenuto simbolo degli anni Novanta, ma ogni volta che la ascolto la mia testa (il mio cuore) corre a quella domenica mattina a bordo della Renault Twingo nera di Nicola, il mio primo allenatore di calcio, mentre scendiamo da Canobbio per andare a Melide a giocare un torneo di calcio. Quella domenica, avevo undici anni, ero stato esentato dalla classica visita ai parenti e con il naso appoggiato al finestrino abbassato mi sentivo grande, libero e felice. Una sensazione che ritorna, anche se per pochi secondi, ogni volta che ne sento il ritornello alla radio. Come è capitato oggi.