Il coraggio di Lilly e… la storia nella Storia
È raro che io apra uno dei miei romanzi pubblicati. Il timore è sempre quello di notare errori, refusi o semplicemente dei passaggi che oggi (ma è normale) riscriverei in maniera diversa. “Il coraggio di Lilly” è il mio quarto libro ma – trattandosi del mio primo romanzo storico – le cose peggiorano, perché oltre a tutti questi elementi devo fare i conti anche con gli anacronismi.
Qui sotto riporto parte di un capitolo appartenente alla seconda bozza del romanzo, datata settembre 2021. L’azione si svolge nel maggio 1917, quando Lilly aveva 20 anni e gestiva una pensione nei pressi del Politecnico di Zurigo. A tavola ci sono quattro giovani ospiti: tre studenti svizzero-tedeschi e un italiano, Umberto. Occhio, però: in poche righe ci sono due errori storici a cui (per fortuna) ho fatto in tempo a rimediare. Voi riuscite a individuarli?
Lui rovesciò il bicchiere. «Io non bevo.»
La bottiglia rimase sospesa in aria, inclinata. «Paura, eh?»
«Non bevo liquori comunisti, io.»
«Ancora con questa storia?»
Il terzo bevve un bicchiere d’acqua e riprese fiato. «Che storia?»
«Una storiella che gira di qua e di là» disse disegnando dei cerchi in aria con la bottiglia, «ma che nessuno ha mai confermato.»
«Sì, ma che storia?»
Lo svizzero tedesco battè il palmo della mano sul bicchiere rovesciato. «Riguarda Lenin, quando stava dalle parti di Lucerna. Un giorno si è svegliato col mal di denti e il buon Hans Studer, uno dei fratelli che ha messo in piedi quell’azienda, lo ha accompagnato dal dentista in automobile.»
«Tutto qui?»
«Una storia vecchia di vent’anni.»
«Avrebbe fatto meglio a lasciarlo soffrire, quel cane.»
«Ma siete voi zurighesi ad avergli prenotato un treno intero per portarlo a San Pietroburgo, due settimane fa.»
«Che vada a fare la rivoluzione nel suo Paese. Così magari la Russia la smette di fare la guerra alla Germania, e non ci ritroviamo più accerchiati.»
«Rimane la Francia a ovest» disse il terzo.
«E l’Italia a sud» disse il lucernese tappando la bottiglia. «Ehi, italiano, bello entrare in guerra schierandosi coi più forti, eh?»
«Avranno ricevuto dei bei soldi per farlo…» disse il secondo, e bevve un altro po’ d’acqua.
Il terzo strappò la bottiglia di mano dall’amico e rimise il bicchierino in piedi. «Facciamo così» e lo riempì fino all’orlo. «Un cicchetto comunista per un amico dei comunisti.»
Lo allungò a Umberto, che rimase impassibile. «Nein, danke.»
«Mein Gott, pure il tedesco parla! Rendiamolo allora più interessante» e infilò la mano nel taschino del gilet. «Se lo bevi tutto, ricevi questo.»
Lo svizzero-tedesco lanciò sul tavolo una moneta da cinque franchi; roteò su se stessa per qualche secondo e si fermò. Umberto la guardò e deglutì; poteva comprarsi un chilo di formaggio, con quella.
«Io…» disse e tutti attesero, incluso il Guglielmo Tell impresso sulla moneta.
«Ci provo io» disse Lilly.